Ancora fusti tossici nel santuario dei Cetacei

Alcuni dei bidoni persi dalla portacontainer Venezia della Grimaldi Lines il 17 dicembre del 2011, contenti nichel e molibdeno, probabilmente resteranno per sempre in mare, nel bel mezzo del santuario dei Cetacei. Erano 198, ma solo 127 sono stati ad oggi ritrovati. Per gli altri 71, almeno fino a ora, pare non ci sia niente da fare e il rischio, soprattutto per colpa della profondità elevata nel tratto in cui si ipotizza che si siano arenati sul fondale, è che rimangano “in perpetuum” a rischiare di inquinare fauna, flora e mare dell’arcipelago toscano. L’unica possibilità concreta? Ripescarli se si impiglieranno nelle reti di qualche peschereccio. Sul caso, intanto, è stata aperta un’inchiesta dalla procura di Livorno per danno ambientale. E il fallimento di parte dell’operazione di recupero, portata avanti utilizzando due imbarcazioni attrezzate, Minerva 1 e Sentinel, e robot ROV impiegati per la prima volta a profondità di questo tipo, non piace all’Enpa, che bolla come “inconcepibile” l’ipotesi che i fusti siano destinati a restare in mare senza essere mai messi in sicurezza.                                                                                                                                                  Per questo l’Ente Nazionale Protezione Animali chiede “al Ministero dell’Ambiente di fare chiarezza al riguardo e di farsi garante affinché tutti i fusti siano rimossi, evitando così una catastrofe ambientale che avrebbe ben pochi precedenti nella storia del nostro Paese“, Anche perché a rischio è l’intero santuario dei Cetacei, una delle aree marine protette più importanti d’Europa, ma di fatto aggredito quotidianamente dall’impatto antropico di ogni tipo. Per il direttore scientifico dell’Enpa, Ilaria Ferri questa è “una vera bomba ad orologeria che potrebbe avere effetti devastanti sia per la sopravvivenza degli abitanti del mare, sia per la salute dei cittadini. Se già non è esplosa. Se non si interviene immediatamente sarà necessario un mare di denaro per tentare di arginare il danno causato sull’ecosistema del Tirreno, senza contare poi che nichel e molibdeno finirebbero inevitabilmente nella catena alimentare di uomini e animali, con ulteriori costi dal punto di vista sanitario e sociale“. L’Arpat continuerà in ogni caso le sue attività di monitoraggio ambientale a largo della Gorgona, mentre sul fondale tutto tace (e giace).

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